Il più antico documento riguardante la ceramica derutese, finora conosciuto, è relativo alla produzione di laterizi. Il 30 marzo 1277, infatti, un pubblico bando del Comune di Perugia richiese, per la pavimentazione delle piazze e le vie della città, la fornitura a cottimo di centomila mattoni, da eseguire “ad modum matonum de Dirupta vel ad modum castri Plebis”, cioè secondo le misure e la qualità dei mattoni di Deruta e di quelli, evidentemente analoghi, di Città della Pieve. Pochi anni dopo, come si legge in un documento del 1282, recentemente scoperto da Rita Silvestrelli, i massari dell’acquedotto di Perugia fecero ricorso ad un vasaio di Deruta per una fornitura di brocche e “gavatelli” da utilizzare in occasione della festa di sant’Ercolano. Infine, è significativo che fin da almeno il 1290 la chiesa parrocchiale di San Nicolò di Deruta pagasse il censo, dovuto alla cattedrale di Perugia, con forniture annuali di vasellame (Casagrande 1982). Quanto testimoniato da queste prime fonti scritte, cioè che l’orizzonte commerciale dei vasai e dei ceramisti derutesi non rimanesse confinato al mercato strettamente locale, è poi confermato nel Trecento dalle ripetute forniture di vettovaglie da parte dei vasai derutesi al Sacro Convento di Assisi. Ne consegue che sia l’organizzazione che la produzione dei vasai derutesi doveva già trovarsi, all’epoca, in uno stadio evoluto.

Dagli archivi notarili viene, infatti, la conferma dell’esistenza, almeno fin dal 1336, di una organizzazione corporativa, mentre la produzione di questo periodo è testimoniata da numerosi reperti e da ritrovamenti in loco di frammenti provenienti da scarichi di antiche fornaci. Si tratta in genere di oggetti d’uso, quali catini, scodelle, panate, boccali e piatti, dipinti nei soli colori di bruno e verde su uno smalto di fondo biancastro. Questa produzione, simile a quella coeva di altri centri umbri e con qualche significativa analogia con quella dei centri dell’Appennino umbro-marchigiano, appartiene al genere della cosiddetta “maiolica arcaica”, termine entrato convenzional­mente in uso nella letteratura specialistica per contraddistinguere un tipo di ceramica rivestita da una coperta vetrificata a base stannifera sul quale sono tracciate decori in verde-ramina e bruno di manganese, prodotta in epoca tardo-medioevale nell’Italia centro-settentrionale. Caratteristiche di questo vasellame sono, inoltre, la foggiatura al tornio in unica soluzione, senza rifinitura finale e, per quanto riguarda Deruta, uno smalto sottile e tendente al grigio dato a risparmio nelle sole parti riservate alla decorazione. Quest’ultima dispone in un repertorio limitato, almeno per quanto è stato possibile ricavare dai reperti di sicura origine derutese, a motivi geometrici, geometrico-floreali, e, talvolta, raffigurazioni zoo e antropomorfe o di simbologie sacre. Una prima evoluzione di questo genere si trova in alcuni frammenti derutesi che vedono, sulle stesse forme e decorazioni prima descritte, l’utilizzo dei colori del blu di cobalto e del giallo ferraccia, mentre nello stesso periodo emerge una consistente produzione di ceramica “ingobbiata e graffita”. Quest’ultima sembra rappresentare una tipologia di transizione, poiché se da un lato conserva le forme e gran parte dei motivi iconografici della “maiolica arcaica”, si avvicina dall’altro, sia per l’uso dell’ingobbio, sia per la presenza di alcuni motivi decorativi, alla produzione tardo-gotica del XV secolo.


Tutti i testi quì riportati sono a cura di Giulio Busti e Franco Cocchi tratti dal CD Multimediale del Museo di Deruta

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