Romano Ranieri, nasce a Torgiano nel 1935.

Cinquant’anni di esperienza, vissuta con l’umiltà dei grandi e con l’insaziabile sete di perfezione artistica, lo collocano fra i primi, a livello mondiale, nella conoscenza, teorica e pratica, delle più raffinate e sofisticate tecniche dell’arte ceramica.

Non ha limite la sua capacità di trasporre su di un materiale affascinante, ma allo stesso tempo non facile da trattare, come è la ceramica, l’eccellenza artistica di pitture ad olio, affresco, acquerello dei Grandi dell’arte, raggiungendo sempre i migliori risultati estetici.

Straordinaria la perizia tecnica con la quale riesce, non soltanto a riprodurre in maniera ineguagliabile i più straordinari capolavori della pittura universale, ma anche la fervida creatività e capacità immaginativa che lo porta a concepire metodi, procedure e magiche alchimie capaci di imprimere a questa antichissima forma d’arte originalità e novità.

Le sue Opere sono presenti in tutto il mondo in prestigiose gallerie come il Museo d’Arte Moderna di Basilea (Svizzera), in molte chiese, nelle strade e nelle piazze di famose città. A Chicago, all’interni dell‘Istituto Scalabrinano in North Lake, il Maestro realizzò ben 52 Pannelli in ceramica di 150 x 100 cm ciascuno, raffiguranti i più significativi episodi del Nuovo Testamento.

Ha partecipato ad innumerevoli Mostre Nazionali ed Internazionali, riportando prestigiosi Premi e successo di Critica.

Nonostante quello che possiamo definire il suo dono, il Maestro Ranieri è una persona molto riservata e umile, che non ama si parli troppo di lui.

La sua aspirazione è lasciare, attraverso le sue opere, una traccia di qualità ed essere per le future generazioni quel Passato cui ispirarsi e, un giorno, superare.

Una sfida costante, con i Grandi del Passato, sulla quale ha impostato tutto il suo lavoro, spostando sempre più avanti la mèta da raggiungere, auspicando che il punto a cui egli è arrivato, sia, invece, il punto di partenza delle future generazioni.

Romano, cui come a pochi altri può essere riconosciuto l’attaccamento e l’affetto con cui si rivolge alla propria comunità, ha da sempre praticato l’insegnamento del proprio sapere trasferendo, senza riserve, ai suoi allievi quelle conoscenze tecniche ed estetiche necessarie a produrre ceramiche belle e di qualità. Al suo insegnamento si sono formati valenti pittori che, nei propri laboratori o nelle fabbriche artigiane, mantengono oggi alto il nome di Deruta  e lo rendono sinonimo di elevata qualità e cultura.

Romano Ranieri ha, d’altra parte, un rapporto speciale con la ceramica. Ad essa deve i suoi esordi artistici quando nei primi anni Cinquanta, ancora liceale, apprende i primi rudimenti della maiolica grazie all’amicizia che lega il padre ad Ugo Bajano.

Il suo talento per il disegno e la composizione, gli valsero subito l’apprezzamento dei maggiori esponenti della ceramica derutese di quel periodo. Terminati gli studi liceali, infatti, Romano venne ingaggiato da Gaetano Ermellini patron della Grazia Ceramiche. Passò, poi, alle dipendenze di  Lamberto Mancinelli, mentre perfezionava il suo talento artistico alla scuola professionale serale avviata dallo stesso Mancinelli ed il prof. Danilo Segoloni, dove ebbe come maestri Leo Ravazzi, Gino Felicini e il pittore derutese Cesare Teobaldo Pimpinelli cui, in particolare, Romano si sente maggiormente debitore per la formazione artistica. Pimpinelli era il principale esponente di una schiera di pittori formatisi nella Maioliche Deruta, grazie all’eccezionale insegnamento di David Zipirovic. Artista di solida formazione, dalla originaria Cherson (Ucraina), aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti di Odessa e si era laureato in architettura a Parigi. Quindi  il viaggio in Italia, come usava all’epoca, per perfezionarsi alla visione diretta dei classici del Rinascimento, che lo aveva condotto a Roma e quindi a Perugia dove, grazie ai buoni uffici di Alpinolo Magnini, tra il 1923 e il 1927 gli fu affidata la responsabilità di una sorta di scuola di pittura ceramica interna alla grande fabbrica derutese. Il suo stile, caratterizzato dall’uso sapiente del colore dalle tonalità miscelate o opache, applicato a libere interpretazioni di soggetti classici dell’arte italiana, rompeva e ammodernava una tradizione consolidata fatta di grafismi e campiture, ma ampliava la tavolozza e  le possibilità espressive della ceramica. I suoi risultati rendevano, finalmente, attuale la principale aspirazione dei protagonisti della ripresa derutese fra Otto e Novecento:  la reinvenzione moderna, cioè, dell’arte dei vasai derutesi del Rinascimento che  erano riusciti a portare sui piatti e sui vasi le pitture di Perugino e Pinturicchio. A distanza di qualche decennio, perciò, Romano Ranieri accede, grazie all’insegnamento di Pimpinelli, a quello di Zipirovic e ne continua, in modo tutt’altro che pedante, lo stile.

Questo passaggio chiarisce il perché Romano si mantenga fedele, ma solo nelle produzione di opere in ceramica, ai soggetti della pittura classica. Citati, più che imitati, li esegue alla perfezione -senza spolveri perché è la bravura nell’esecuzione che fa la differenza- come si trattasse di un’opera musicale su cui, come i grandi maestri d’orchestra, l’artista si concede libertà di interpretazione e variazioni dalla partitura. La pura invenzione, il libero slancio di fantasia, è riservato, piuttosto, alla pittura su tela con cui Romano si concede immediatezza ed estro personale. Questa posizione, d’altra parte, rispecchia un’idea consolidata nell’arte ceramica, benché oramai rarefatta ed elitaria, sopravvissuta anche alle tendenze artistiche più moderne che hanno avuto fortuna nelle produzioni ceramiche. Si pensi, ad esempio, alle correnti del cubismo, dell’informale o del materico che,  all’epoca della formazione del nostro artista, proprio a Deruta con il premio del 1954, avevano trovato una delle prime vetrine nazionali. Romano si tenne a distanza da quelle tensioni,  i suoi maestri preferivano fare poche concessioni al nuovo, continuando a perfezionare lo stile consolidatosi nelle manifatture derutesi nel ventennio fra le due guerre, nutrito di classicismo, di storicismo e di figurativo.

“Non è che io disprezzi l’arte contemporanea – chiarisce Romano – ma trovo che qualsiasi espressione che voglia dirsi artistica non possa prescindere da principi di armonia e gradevolezza. Anche se soggettivo, il senso della bellezza esiste e fa piacere all’animo vedere un’opera che possa dirsi bella. Deruta aveva, nel Rinascimento,  una linea moderna, sobria che valorizzò la figura come linea decorativa. Ha creato una scuola ancora validissima”.

In questa prospettiva, l’arte ceramica di Romano Ranieri rientra pienamente in quello che Giulio Busti, in una rassegna critica dedicata alla storia della ceramica umbra, chiamava “il senso del classico” per indicare il filo comune che lega, dietro un altrimenti incomprensibile eclettismo, le produzioni regionali legate ad una solida tradizione di origine rinascimentale.

Romano, che è profondo conoscitore non solo delle tecniche, ma anche della storia della ceramica, ne è consapevole e si rammarica che uguale  consapevolezza non appartenga,  sempre, a tutti gli artigiani che proseguono la lunga storia della ceramica di Deruta.

Anche per questo, assieme con i soci, ha dato vita alla scuola che porta il suo nome.

Ed è una fortuna, per la ceramica e per Deruta, perché “Se mio padre – dice Romano –  non fosse stato amico di Ugo Bajano, avrei fatto solo il pittore. Ma sono felice che sia andata così”.

Se n’è andato la mattina del 26 gennaio 2015, silenziosamente, con la discrezione e la riservatezza che lo hanno contraddistinto da sempre, lasciando nel cuore di coloro che lo amavano un enorme vuoto, ma anche un grande esempio di vita.

 

(citazioni tratte da scritti di Luciano Lepri, Critico d’arte; Floriana Spaccini, Presidente della Scuola d’Arte Ceramica Romano Ranieri; Mauro Mastice, Sindaco di Deruta)

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